L’Assassinio del Cardinale Ippolito de’ Medici
Lettere riprese dal libro “L’assassinio del Cardinale Ippolito de’ Medici (Il colpevole imprigionato e interrogato nel Castello di Itri)”
di Luigi Muccitelli
L’Assassinio del Cardinale Ippolito de’ Medici
(il colpevole imprigionato e interrogato nel Castello di Itri)
Regno di Napoli Impero di Spagna
(I manoscritti originali sulla morte per avvelenamento del Cardinale Ippolito de’ Medici in Itri nel 1535, si trovano nell’Archivio Generale di Simancas in Spagna e si pubblicano per la prima volta in assoluta mondiale).
MORTE DI IPPOLITO DE’ MEDICI
Esattamente un anno dopo essere riuscito a salvare la contessa Gonzaga dalle grinfie di Barbarossa (6 agosto 1534), il cardinale Ippolito muore (10 agosto 1535). Giulia assiste impotente il suo innamorato fino all’ultimo respiro. Ippolito è morto per avvelenamento successivo ad una leggera febbre, forse dovuta a malaria.
Sappiamo molto sull’avvelenamento perché immediatamente dopo la morte di Ippolito è avviata un’inchiesta ed è interrogato il responsabile del fatto, ma forse non sappiamo ancora la verità sul motivo e sui mandanti.
Il cardinale è descritto da alcuni contemporanei come personaggio negativo, dissoluto. Alessandro Luzio, in particolare, giunge ad attribuire la morte di Ippolito a cause naturali dovute a comportamenti dissoluti e nega la vicenda dell’avvelenamento senza riferirsi a fonti attendibili e tralasciando di citare alcune parti dei dispacci intercorsi sulla vicenda. Eppure, altre fonti attestano l’esito degli interrogatori svolti nel castello di Itri, come è riscontrabile nella documentazione dell’Archivio Gonzaga di Mantova, ma Luzio, tendenziosamente, li trascurò (Cfr. Rossana Sodano, La morte di Ippolito de’ Medici: nuovi documenti dall’Archivio Gonzaga (1535), Lo Stracciafoglio, a. I, n. I (n. 1), I semestre 2000, pp. 29-35). In particolare, il Cardinale Ercole Gonzaga in una lettera al fratello Francesco datata 10 agosto 1535 accredita la morte per avvelenamento del cardinale Ippolito e anche il fatto che l’omicidio venisse commissionato dal cugino Alessandro, duca di Firenze, il cui governo il cardinale tentava di rovesciare.
I fatti sono questi:
Nel giugno del 1535, Ippolito è diretto in Tunisia per incontrare Carlo V e concordare con lui la destituzione del cugino Alessandro e ottenere la signoria di Firenze. Le navi che trasporteranno lui e la sua corte salperanno dalla vicina Gaeta. In attesa della conclusione dei preparativi per la spedizione, Ippolito alloggia presso il convento della chiesa di San Francesco al centro di Itri – quasi interamente distrutta, nell’ultima guerra mondiale – e visita la contessa Gonzaga a Fondi mentre continua a praticare la caccia attraversando zone infestate dalla malaria.
Il 2 agosto del 1535 Ippolito si ammala. Inizialmente, la febbre non desta alcuna preoccupazione. Successivamente, il giorno 6, il cardinale viene avvelenato dal suo siniscalco Giovan Andrea da Borgo di Sansepolcro che, approfittando del precario stato di salute, somministra il veleno in una minestra bollita. Ippolito si sente male, va in smanie e comprende immediatamente. Dice, infatti: «Io sono stato avvelenato e ammi avvelenato Giovanni Andrea».
Immediatamente Giovan Andrea viene arrestato e rinchiuso nella rocca di Itri. Il Varchi, presente al fatto, testimonia che il servo viene sottoposto a tortura e confessa.
I verbali dell’interrogatorio conservati nell’archivio mediceo narrano gli avvenimenti. Il siniscalco dapprima nega di aver avvelenato il cardinale sostenendo che è abitudine di Ippolito essere sospettoso quando si ammala e accusare sempre di avvelenamento. Forse tenta, così, di evitare cure e interventi salvifici.
Il Priore (Bernardino Salviati) lo accusa dicendo che il cardinale ha le lettere nelle quali si parla proprio di quanto poi è avvenuto. Sottoposto a torture, Giovanni Andrea confessa di aver avvelenato il cardinale. A conferma di ciò, indica il luogo dove ha gettato via i sassi utilizzati per schiacciare il veleno e, quando glieli mostrano, li riconosce tra i tanti sassi mostrati per trarlo in inganno.
Avuta certezza dell’avvenuto avvelenamento, viene chiesto a Paolo III l’olio de caravita, un preparato antidoto che aveva solo il Papa. La sua mancata risposta fa ritenere anche il Papa responsabile della morte di Ippolito, probabilmente per riprendersi tutti i benefici ecclesiastici del cardinale e passarli ai suoi familiari. Questa tesi è avvalorata da quanto avvenne in seguito. Giovanni Andrea fu mandato a Roma e rinchiuso a Castel Sant’Angelo. Qui negò tutto quanto aveva confessato ad Itri, sostenendo di essersi sentito obbligato a farlo nel timore di essere ucciso dai servitori del cardinale. E ancora. I testimoni del tempo rilevano che non vi è alcun documento riguardante il suo interrogatorio e gli esiti della sua detenzione. Eppure, si tratta di un’indagine svolta per l’uccisione di un cardinale, oltretutto appartenente ad un’illustre e potente famiglia fiorentina. E proprio a Firenze il duca Alessandro accoglie Giovanni Andrea assicurandogli anche l’incolumità. Il siniscalco, difatti, racconta delle torture e delle sue sofferenze per tacere la verità sul veleno e i suoi responsabili.
E allora interviene il fato: mandante e mandatario sono puniti dalla sorte. Entrambi muoiono di morte violenta, assassinati.
Audioguida
Approfondimento storico
Lettera del 6 agosto 1535 inviata da Itri Contea di Fondi sull’avvelenamento del Cardinale Ippolito de’ Medici
DIE VJ MENSIS AUGUSTI 1535 IN ITRI
Jo Cap. Sanpietro cordo giacendo nel letto alquanto indisposto nelle case del Sig. Fara Jacobeo nella piazza di Itri vicino la selce e altri firmatari: con la presente faccio piena e indubitata fede che il 6 del presente Mons. R. mo de’ Medici has chiamato il Rev.mo Priore di Roma e gli ha fatto intendere che Giovanni Andrea il suo personale servo frate scalzo lo aveva intossicato. E domandandogli detto Priore come poteva essere successo, Sua S.ma Rev.ma gli ha risposto che lo sapeva per certo di essere stato intossicato, e nello stesso stato erano anche altri tre o quattro frati. Infine, detto Mons. ordinò al Priore che facesse arrestare detto Giovanni Andrea, farlo processare, per appurare chiaramente il maleficio e punirlo.
E così, per ordine del Mons. io personalmente Cap. Sanpietro insieme al Cap. Giovanni da Torino, abbiamo preso detto Giovanni Andrea e sbattuto nella prigione del Castello di Itri, in modo che venisse processato e punito per il suo maleficio, per volontà di Mons.R.mo. E per cautela e fede nella verità, pro interesse di qualsiasi persona lo potesse pretendere, e non sapendo io scrivere ho sottoposto la presente a Giovannicola di Peppo di Itri in presenza del Cap. di Itri e altri testimoni qui presenti, ai quali ho chiesto di firmare il documento. E il Priore Giovannicola presente in Commissione, e io Cap. Sanpietro ho preso coscienza e subito ho firmato con la mia propria mano:
Io Odorisio de Crescenzi di Traletto, Cap.in Itri;
Io Francesco di Giulio di Itri, testimone;
Io Giovanni D’Ovidio di Itri, testimone;
Io Vincenzo di Marco di Itri, testimone.
LETTERA DEL 9 AGOSTO 1535 – ORA E NOTTE INOLTRATA IN ARCE TERRA DI ITRI
Omissis: Superata la variazione del deponente Giovanni Andrea descritto nell’indagine, si mette sotto tortura e nell’interrogatorio dice e conferma.
Sollevato Giovanni Andrea legato alla corda e sospeso come un suino, grida: abbassatemi ché voglio dire la verità. E abbassato con ammonizione, dice che lui ha avvelenato il Mons.Rev.mo con il tossico che gli avevano dato.
Interr. – Che tipo e chi gli diede detto veleno.
Risp. – Dice che nella mattina, del passato giovedì, glielo mise in una zuppa di pane stufato, in brodo, e mise il veleno sotto il pane prima di versare il brodo.
Interr. – Quando, lui interrogato, aveva avvelenato Mons. Rev.mo, chi altro era presente.
Risp. – Dice che nessuno era presente.
Interr. – Se conosceva il colore del veleno che aveva dato al Mons. Rev.mo.
Risp. – Dice che era giallo che diventava bianco.
Interr. – Il veleno di che specie o qualità era.
Risp. – Dice che non lo sa
Interr. – Che quantità mise nella zuppa data al Mons. Rev.mo.
Risp. – Dice, una scatola in polvere messa tutta nella zuppa
Interr. – Se quando diede la zuppa al Mons. per mangiarla, lui ebbe fiducia
Risp. – Dice che nemmeno gli altri dubitarono e che il brodo versato fu approvato dal cuoco, dopo che già aveva messo il veleno nella zuppa.
Interr. – Se il cuoco sapeva qualcosa del veleno messo nella zuppa
Risp. – Dice di no
Interr. – Detto veleno dove lo prese
Risp. – Dice lo ebbe nel Castello da un bottegaio che era bergamasco e stava dietro la porta (d’ingresso)
Interr. – Come lo ebbe da detto bergamasco
Risp. – Dice che ne aveva comprato una grossa scatola
Interr. – E che quantità ebbe per una grossa scatola.
Risp. – Dice, tutto quello messo nella zuppa per il Cardinale e il poco rimasto l’aveva buttato via.
Interr. – Che quantità era quella comprata
Risp. – Dice, una piccola castagna di color bianco che dava al giallo, e così l’aveva pistata nel Castello, con due pietre la ridusse in polvere, e così l’aveva portato nel Castello di Itri
Interr. – Ammonito di dire la verità sul veleno aveva messo nella zuppa del Mons.
Risp. – Dice che l’aveva ottenuto da un bergamasco
Interr. – Se quando comprò il veleno aveva già deciso di avvelenare il Mons. Rev.mo
Risp. – Ha detto che si lo aveva comprato con questa intenzione
Interr. – Perché aveva avvelenato il Mons. Rev.mo
Risp. – Dice che aveva ricevuto la lettera da Firenze da parte di Matteo da Cortona che stava con il Duca Alessandro, il quale ne aveva un’altra per il deponente per ordine di Geronimo da Carpi, che la portava essendo un porporato del Borgo di San Sepolcro e vassallo del Duca Alessandro, ché voleva avvelenare detto Mons. E dopo il Signor Duca farebbe a lui gran bene, quando andrebbe in potere del suo parente che stava in Roma, chiamato Ottaviano Zeni. E detto l’aveva inviata da un servitore all’interrogato, che si chiamava Ercole, senza la promessa di farlo sicuramente.
Interr. – Quanto tempo è, e da chi detta lettera fu scritta
Risp. – Dice, oggi è quasi un mese che l’ha fatta e sono otto giorni che partirono da Roma e ricevettero la lettera da Firenze, dal Signor Otto di Monteaugusto che la scriveva, in effetti, a Matteo da Cortona, affinchè avvelenasse Mons.R.mo, perché quel Signor Otto aveva rassicurazione da detto Signor Duca che farebbe all’interrogato un gran bene. La quale lettera consegnò a lui il Maestro Carlo D’Arezzo e appena la lesse la distrusse. E che niente sapeva sull’avvelenamento del Mons.
Interr. – Quado mise il veleno in detta zuppa, dove lo eteneva
Risp. – Dice che sempre lo portava nei calzoni neri che indossa al presente, che non c’era miglior mezzo per avvelenare il Mons.
Interr. – Giovanni Andrea sollevato con la corda e ammonito di dire la verità sul tipo di veleno
Risp. – Dice che il Signor Otto gli inviò un’ampolletta piena di veleno liquido avvolta con carta e bambagia. Presente Carlo D’Arezzo in Roma chi disse che l’aveva inviata il Signor Otto e leggerai ciò che scrive nella lettera, e farai quello che ordina. Da allora, lui interrogato, portava con sé l’ampolletta e giovedì mattina l’ha versata nella zuppa presso il Monastero di S. Francesco in Itri. E dopo che Mons. l’ebbe mangiata si è sentito male, mentre lui con due pietre a forma d’uovo ha frantumato l’ampolletta e l’ha gettata nella latrina del Monastero di S. Francesco, a mano sinistra. Detta ampolletta la ricevette in Roma da detto maestro Carlo, quasi otto giorni prima di passare per Roma.
Interr. – Detta lettera chi la consegnò al deponente in Itri.
Risp. – Dice che gliela diede un cameriere del Signor Cardinale chiamato maestro Beltramo, il quale disse che con essa arrivava un’altra nella quale Giovanni Maria raccomandava di negoziare detta riservata con il deponente. E che se voleva rispondere sull’esito che inviasse le lettere a lui per una buona consegna.
Interr. – Le lettere in suo possesso dove si trovano.
Risp. – Diche che la lettera del maestro Galasso ce l’ha il deponente nel suo vestito e l’altra letterina riservata crede che si trovi nella stanza dove alloggia, sopra la camera dove dimora il Mon. Rev.mo.
Giovanni Andrea ammonito dai membri della Commissione ché deve mostrare e consegnare la lettera che può rilevare nello scritto le penalità per lui.
Risp. – Dice che in nessun altro luogo di Itri ci sono altri scritti e nemmeno li hanno altre persone.
Interr. – Se lui deponente ha parlato o manipolato per avvelenare o far avvelenare, o acconsentire con chi volesse avvelenare il Mon.Re.mo, fra i naviganti che giungevano nel territorio di Fondi e Itri, dalle tre alle otto del presente.
Risp. – Dice che tal cosa non solo mai l’ha trattata, ma lo sa Dio, mi era passata per la sua mente, eccetto che servire bene e fedelmente S.S.Rev.ma.
Interr. – Se lui deponente, dopo che il Mons. si era ammalato in Itri, avesse evitato in modo alcuno di praticare la casa di S.S.Rev.ma, essendo sospetto e dubbioso che non avesse capito e pensato che lui deponente lo aveva avvelenato per andare al Castello S. Angelo, e non sa se il maestro Carlo sapeva chi aveva avvelenato il Mons.Rev.mo. Questo dice essere l’unica soluzione e ratifica nonostante altre cose dette dal deponente.
MANOSCRITTO DEL 10 AGOSTO 1535 SULL’INTERROGATORIO DI GIOVANNI ANDREA DE FRANCISCI AVVELENATORE DEL CARDINALE IPPOLITO de’ MEDICI.
DIE X AUGUSTI 1535 etf.
Testimonianze degli interrogati da Giovanni Manzanu che ha saputo oggi che i gendarmi del Rev.mo Cardinale de’ Medici hanno portato via Giovanni Andrea mettendolo in prigione nel Castello di Itri perché aveva intossicato detto Mons.R.mo. E avendogli domandato se lui, Giovanni Andrea si fosse pentito di averlo intossicato e perché l’aveva fatto, detto Giovanni Andrea ha risposto queste parole: “Io l’ho fatto e se dovessi farlo un’altra volta lo farei e non mi rincresce né mi pento di averlo fatto e mi duole di non averlo fatto prima…”
Pet.X. Fari Ciccarelli di Itri testimonio sotto giuramento et superata rubrica informativa e ogni altra cosa, ha detto che trovandosi oggi nel Castello di Itri con Giovanni Angelino, dove stava in prigione chi ha intossicato il Cardinale de’ Medici, ha sentito dal Cap. della gendarmeria del Cardinale che il guardiano della prigione ha chiesto a Giovanni Andrea se si era pentito d’aver intossicato il Cardinale, e lui ha risposto: “Io l’ho fatto e se dovessi farlo ancora lo farei, e non me ne sono pentito, ma ogni volta che venisse qualcuno a darmi mille scudi sempre lo farei…”
E delle altre cose lui interrogato dice di non saper niente.
Ber. Alessandro Catalani di Itri, testimone sotto giuramento et superata la rubrica informativa e ogni altra cosa, ha detto che oggi, avendolo preso dal Castello di Itri, i gendarmi del Cardinale de’ Medici, hanno portato a Fondi Giovanni Andrea il servitore che lo aveva intossicato. E chiamandolo traditore, gli dicevano: “Come hai avuto il coraggio d’intossicare il Cardinale padrone tuo”. Allora Giovanni Andrea si è voltato rispondendo: “ Io l’ho fatto e se dovessi farlo ancora lo farei e non mi dispiace affatto di averlo fatto, non me ne pento…”
E anzi, dice di non comprendere perché andavano via dalla casa. E il deponente ha sentito dire dal detto Giovanni Andrea che gli rincresce di non averlo fatto prima.
Giu. Augusto Pietri di Itri, sotto giuramento e superata la rubrica informativa e altri cavilli, ha detto che trovandosi oggi nel Castello di Itri ha sentito dire dal Cap. dei gendarmi del Cardinale de’ Medici che il Giovanni Andrea stava in prigione per aver intossicato il Cardinale dal giorno che ebbe in possesso il veleno, dandolo sempre al Cardinale. E chiestogli se si fosse pentito, Giovanni Andrea ha risposto di non essere pentito d’averlo avvelenato e ogni volta che gli consegnassero mille scudi lo farebbe, e non sa di altre cose.
LETTERA MANOSCRITTA DEL VICERE’ DI NAPOLI SPEDITA L’11 AGOSTO 1535
- Ç. C. Mt.
(Sacra Cesarea Cattolica Maestà)
La lettera della Vs. M.tà del 14 passato con la notizia della presa della goletta l’ho ricevuta il nove del presente ed ho già predisposto per la duplicazione per le fregate, spedite da qui. Non mi dilungherò di più nel riferirmi a quelle e non sono con poca pena nel sapere ciò che è successo. Dopo tanta gloriosa vittoria a Tunisi, però, spero in Dio che sia come la santa intenzione di Vs. M.tà e come la Cristianità lo necessita.
Il 6 del presente ho dato a Vs. M.tà di quanto succede, e si capiva, fino a quel giorno. Quello che qui s’intende per lettere, su dei particolari di alcuni ministri della Vs. M.tà e di altri particolari che ordinerà per le relazioni che con questa allego.
Già Vs. M.tà sarà informato come il Cardinale de’ Medici venne in questo regno dicendo di voler scrivere a Vs. M.tà su questo nell’impresa per cui si è fermato alcuni giorni a Itri e in altri luoghi circonvicini. E si apprende che un suo maestro di sala gli ha dato il veleno che ha portato per lo scopo, e ieri ha fatto dieci giorni fino al oggi che ha ricevuto l’Olio Santo e resta senza speranza di vita. Il particolare sulla provenienza del tossico ancora non si è capito, e anche se i de’ Medici hanno nelle mani quel servo, darò conto a Vs. M.Tà di quello che si potrà sapere e di quanto più convenga al Servizio di Vs. M.tà.
Il detto Cardinale mantiene l’Arcivescovato di Monreale nel Regno di Sicilia che Vs. M.tà gli concesse. Sempre che il Signore sia servito, supplico Vs. M.tà umilmente di farmi grazia di quel titolo di Arcivescovo per mio figlio D. Luis Det. poiché è beneficio senza carità di anima, e l’altro di minor età potrebbe anche avere il titolo di Arcivescovo. E per questo mi farà la grandissima mercede di aumentare l’onore della mia casa, poiché l’uno o l’altro e padre e figli non vogliamo la vita né l’azienda se non per impiegarle a Servizio di Vs. M.tà. Come lo dobbiamo e perché D. Fabrizio Det. Mio figlio supplica Vs. M.tà. in particolare più umilmente, torno a supplicare di ordinare di dare fede e credenza come se io stesso lo supplicassi.
Dopo aver scritto quanto suddetto, s’apprende che detto Cardinale de’ Medici è morto ieri alle ore quindici. Ns. Signore lo perdoni!
Supplico Vs. M.tà di concedermi questo cambio, poiché penso che i miei servizi lo meritano e lo meriteranno, come tutti i miei avi e io con essi abbiamo fatto e faremo come lo dobbiamo al Servizio di Vs. M.tà, la cui Sacra Cesarea Cattolica vita Ns. Signore per tanti lunghi anni accresca, come io desidero e la Cristianità ne ha necessità.
Vassallo e servo fedele di Vs. M.tà
(firma del Viceré di Napoli)